201903.30
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Il lavoro a tempo determinato: le novità del Decreto Dignità

Premessa

Occorre ricordare che nel nostro ordinamento i rapporti di lavoro possono essere a tempo indeterminato (cioè durare finché non intervengano eventi particolari come il pensionamento del lavoratore o le sue dimissioni oppure il suo licenziamento) e a tempo determinato (cioè durare solo per il periodo di tempo indicato nel contratto di lavoro).

La situazione precedente

Soprattutto i contratti a tempo determinato, nel corso degli anni, sono stati oggetto di molti cambiamenti che ne hanno modificato sensibilmente la natura. Negli ultimi tempi, ad esempio, si era stabilito che le imprese potessero utilizzare contratti di lavoro a tempo determinato della durata di 36 mesi senza dover fornire alcuna giustificazione scritta, che in effetti nel contratto non era necessario comparisse. In precedenza, invece, la circostanza che un contratto fosse a termine doveva essere motivata con la precisa indicazione della ragione aziendale che avesse reso necessario un contratto di durata limitata nel tempo piuttosto che un contratto indeterminato.

Le quattro principali novità introdotte dal Decreto Dignità

Il “Decreto Dignità” è tornato sulla questione, riprendendo questo e altri argomenti, intervenendo quindi su aspetti molto rilevanti tra i quali si segnalano in particolare: la durata massima del rapporto a termine; il numero di volte in cui è possibile concordare una proroga del termine; l’obbligo di motivare per iscritto i contratti di durata superiore a 12 mesi; il periodo di tempo dal momento in cui il rapporto si è concluso per contestarne la validità, cioè per impugnarlo e far valere i propri diritti.

  1. Il periodo massimo di durata di un contratto a termine

Oggi, infatti, il lavoratore e il datore di lavoro interessati a firmare un contratto a tempo determinato dovranno tenere presente che possono concordare un periodo massimo di durata del rapporto di 24 mesi, dei quali i primi 12 “acausali”, nel senso che potranno non essere giustificati da alcuna ragione scritta. In tal caso, il contratto si limiterà a contenere l’indicazione di una durata non superiore a 12 mesi senza alcuna menzione della ragione che giustifica la temporaneità del rapporto di lavoro.

  1. La cosiddetta causale: la giustificazione del termine

Quando sia concordata una durata superiore a 12 mesi (fino, lo rammentiamo, al limite massimo di 24 mesi), il decreto dignità obbliga il datore di lavoro e il lavoratore ad indicare nel contratto la motivazione, la quale non potrà essere generica, non potrà consistere cioè in un qualsiasi espediente che le parti abbiano convenuto fra loro o che l’impresa abbia escogitato, ma dovrà consistere invece in una delle ipotesi che la stessa norma prevede, tanto da indicarle tutte specificamente: dovrà trattarsi cioè di esigenze temporanee del tutto estranee all’attività svolta ordinariamente dall’impresa oppure di incrementi non programmabili dell’attività – ad esempio, picchi improvvisi di produttività – oppure ancora di esigenze sostitutive. In questi casi la mancata indicazione della causale all’interno del contratto avrà effetti molto gravi: determinerà la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data del superamento del limite di 12 mesi.

  1. Il numero massimo di proroghe e la questione dei rinnovi

Venendo alla proroga del termine pattuito nel contratto, il Decreto Dignità ha stabilito che nel corso del rapporto il datore di lavoro e il lavoratore possano concordare fra loro sino a 4 proroghe, purché sia in ogni caso rispettato il limite massimo di durata del rapporto di 24 mesi e purché, superati i primi 12 mesi, sia indicata per iscritto la causale della quale abbiamo parlato poco sopra.

Quando si tratti invece di un rinnovo del contratto a termine, cioè quando le parti si accordino per firmare un nuovo contratto a tempo determinato in tutto e per tutto identico al precedente, il Decreto Dignità stabilisce che la causale debba essere sempre indicata, a prescindere dal tempo trascorso, quindi anche se il limite dei 12 mesi non sia trascorso.

  1. Il periodo di tempo utile per contestare la legittimità del contratto

Si segnala, in ultimo, che il nuovo decreto ha allungato il termine a disposizione del lavoratore per contestare la legittimità del contratto, che passa dai precedenti 120 giorni dalla cessazione del singolo contratto agli attuali 180 giorni. Una volta conclusosi il contratto a tempo determinato, pertanto, il lavoratore potrà far valere i suoi diritti nei confronti del datore di lavoro nei 180 giorni successivi, avendo cura ad esempio di rivolgersi tempestivamente ad un professionista del settore.

È opportuno ricordare che la nuova disciplina si applica ai soli contratti stipulati successivamente al 14 luglio 2018, mentre per le proroghe e alle proroghe e ai rinnovi successivi al 31 ottobre 2018.