201905.10
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Il Decreto Dignità migliora le tutele contro il licenziamento: aumentano i parametri del risarcimento

Il Decreto Dignità interviene anche sui licenziamenti individuali, migliorando la tutela economica del dipendente che improvvisamente, non per sua colpa, si ritrovi senza lavoro.

La novità introdotta dal Decreto Dignità, nello specifico, consiste nell’avere incrementato i valori minimo e massimo del risarcimento (tecnicamente, della indennità risarcitoria) che il Giudice del Lavoro potrà riconoscere alla persona licenziata ingiustamente, a prescindere dal fatto che il licenziamento sia intervenuto per motivi aziendali (si dice, per giustificato motivo oggettivo) oppure per ragioni disciplinari (quindi, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa: sull’argomento, ti consigliamo di guardare i nostri video “Il licenziamento in generale”, “Il licenziamento disciplinare in sintesi” e “Approfondimenti sul licenziamento disciplinare”).

Nello specifico:

  • per le grandi imprese (con più di 15 dipendenti) l’importo minimo del risarcimento è salito da 4 a 6 mensilità, mentre quello massimo è passato da 24 a 36 mensilità;
  • per le piccole imprese (con meno di 16 dipendenti), il tetto massimo del risarcimento pari a 6 mensilità è rimasto invariato, mentre è aumentato il limite minimo, passato da 2 a 3 mensilità.

La retribuzione che viene presa in considerazione per il conteggio è la cosiddetta retribuzione di riferimento utile al calcolo del trattamento di fine rapporto o t.f.r. (quello che comunemente si suole definire “la liquidazione”): cioè, non propriamente la retribuzione che risulta dalla singola busta paga, ma la retribuzione che si ottiene sommando tutti gli elementi corrisposti al lavoratore in modo stabile e continuativo nel corso del rapporto (ad esempio la tredicesima) e che appunto concorrono al conteggio del t.f.r.

Oggi, pertanto, dopo l’intervento del Decreto Dignità, il Giudice del lavoro che accerti l’ingiustizia del licenziamento potrà riconoscere al lavoratore un risarcimento più cospicuo, condannando l’azienda a pagare in suo favore da 6 a 36 retribuzioni di riferimento (laddove si tratti, come detto, di un’azienda di grandi dimensioni) oppure da 3 a 6 retribuzioni di riferimento (laddove si tratti di un’azienda di piccole dimensioni).

Il legislatore ha migliorato anche l’offerta di conciliazione, cioè l’offerta di tipo economico che il datore di lavoro intenzionato ad evitare la causa in Tribunale può fare al lavoratore licenziato una volta ricevuta la contestazione del licenziamento.

È bene rammentare, infatti, che già prima del Decreto Dignità era prevista la possibilità per l’impresa di prevenire la vertenza davanti al Giudice del Lavoro rispondendo alle rivendicazioni del dipendente licenziato con una precisa offerta economica, che:

  • per le grandi imprese (con più di 15 dipendenti) doveva essere ricompresa tra un minimo di 2 retribuzioni di riferimento e un massimo di 18;
  • per le piccole imprese (con meno di 16 lavoratori) doveva essere ricompresa invece tra un minimo di 1 retribuzione di riferimento e un massimo di 6.

Ebbene, il Decreto Dignità ha stabilito a vantaggio del lavoratore che per le grandi imprese l’offerta di conciliazione migliori sia nel minimo che nel massimo, sicché ora dovrà essere compresa fra un minimo di 3 mensilità e un massimo di 27, mentre per le piccole imprese aumenti nel minimo, per cui oggi essa dovrà essere ricompresa tra un minimo di 1,5 e il massimo già visto di 6 retribuzioni di riferimento utili al calcolo del T.F.R.

Ne consegue che, per evitare la causa contro il licenziamento, le imprese saranno oggi costrette a offrire in conciliazione un importo più consistente del passato, a tutto vantaggio del dipendente licenziato ingiustamente.